La «prima» è come il talco che solleva LeBron: una nuvola. Cosa nasconde, se pioggia o sole (e per chi), lo sapremo. Certo, il 2-2 di Marassi e il 2-2 di San Siro hanno sorpreso. Perché zeppi di episodi, perché sanciti ben oltre il novantesimo. Perché filosoficamente diversi.
Il Genoa del Gila è un altro dentista. Da Gudmundsson-Retegui a Vitinha-Messias: eppure… Aveva di fronte i campioni. Svegliati, per paradosso, da una doppia dormita, di Sommer e Bisseck, sul gol di Vogliacco. Il Curry della situazione è stato Thuram: gran colpo di testa su palombella di Barella; scavetto in capo a una furiosa azione di Taremi e Frattesi (i cambi). Poi, quando Dan Peterson avrebbe ordinato «mamma, butta la pasta», ecco il braccio largo di Bisseck: Var (come nei casi del penalty tolto correttamente a Thuram e dell’1-2, correttamente recuperato) e dischetto. Messias: parata, tap-in e arena ruggente. Era il 95’.
Morale: difese e portieri ballerini, Grifo sempre sul pezzo, Badelj-Frendrup trincee e baionette, Inter un po’ così, imprecisa, sciupona, pasticciona. Con Lau-Toro, per una volta, cornice e non quadro.
Per 89’, medaglia T’oro. Vanoli, al debutto, soffre e graffia. Non rinuncia. Sfonda sulle fasce. L’autorete di Thiaw, generata da un ricamo Sanabria-Zapata, nasce a sinistra e «muore» a destra, sulla crapa di Bellanova. L’orologio di Maresca non vibra, lo soccorre Doveri, al video. Il raddoppio di Zapata è figlio di Lazaro, dalla fascia mancina. Fonseca, al battesimo, aveva mescolato i titolari e spaccato la formazione, ricavando un Milan né nuovo né vecchio. Un Milanino. Lo hanno salvato le staffette: Morata al posto di un ombroso Jovic, a segno di furbizia; Okafor di volée, su tiro-cross di Musah. Era il 95’. Anche Vanoli aveva pescato in panca, ma c’è chi può e chi non può, «lui» non poteva (o non ne aveva). Dimenticavo gli errori sotto porta del «solito» Leao.